Le distorsioni cognitive sono modalità disfunzionali di interpretare le esperienze. Si tratta non tanto dei contenuti, quanto piuttosto della tipologia di pensieri che si fanno.
Come sostiene Aron T. Beck, uno dei fondatori della psicoterapia cognitivo comportamentale, molti dei nostri pensieri sono automatici, cioè affiorano alla nostra mente senza un controllo consapevole e derivano da “abitudini di pensiero” che affondano le loro rigini nella nostra storia personale.
Spesso derivano da abitudini di pensiero apprese in età infantile in famiglia o con le altre persone di riferimento che hanno segnato la nostra vita. Ad esempio se una persona ha avuto genitori ansiosi , che usano delle distorsioni in modo sistematico, probabilmente avrà introiettato questo modo di leggere la realtà e avrà pensieri automatici che portano a stati ansiosi.
Questi pensieri quindi arrivano come una sorta di comunicato alla nostra mente, spesso sono pensieri brevi e perentori. La persona tende a essere acritico nei loro confronti non ritenendoli un semplice prodotto della mente, non riesce ad avere in giusto distacco e a valutare ipotesi alternative sulla realtà. Li ritiene veri e indiscutibili.
Vediamo ora un breve elenco delle principali distorsioni.
Pensiero dicotomico: le situazioni della vita sono viste per i loro estremi, o totalmente positive, o totalmente negative. Ad esempio, o si supera l’esame con il massimo dei voti oppure ho avuto una prestazione fallimentare, non esistono valutazioni intermedie.
Astrazione selettiva: dall’insieme dei nostri ricordie situazioni di vita, andiamo a selezionare solo gli aspetti che sono in linea con la nostra emozione del momento, ad esempio se mi sento ansioso seleziono nella mia memoria prevalentemente situazioni ansiogene sentendomi scoraggiato, se sono euforico mi ricordo solo di eventi positivi, magari sottovalutando difficoltà o pericoli insiti in quella attuale.
Catastrofizzazione: si immagina che da un piccolo evento se ne verivichi una altro peggiore che poi ne porta un altro ancora peggiore fino ad arrivare alla catastrofe. Ad esempio: “Oggi il capo non mi ha salutato, probabilmente non assegnerà a me il lavoro che speravo, e forse intende licenziarmi, quindi perderò la casa ecc ecc “
Doverizzazione: una delle più diffuse e fastidiose. Si stabilisca a priori che di veno rispettare certi standard prestazionali, non tenendo in considerazione la reale fattibilità arrivando a sovraccaricarsi di impegni e a non rispettare gli obiettivi provando continuamente frustrazione e sensi di colpa.
Inferenza arbitraria: anche senza avere delle ragioni fondate sui fatti, traggo delle conclusioni che vengon date per Verità assolute. Ad esempio: “Quella persona non mi ha salutato, è ovvio che ce l’ha con me!”
Ipergeneralizzazione: partendo da un aspetto particolare si giunge arbitrariamente a considerazioni generali. Su questo, ad esempio, spesso si basano i pregiudizi; siccome una persona di quella “categoria” si è comportata male, mi aspetto che tutte le altre che accomuno a quella categoria si comportino allo stesso modo.
Ragionamento Emotivo: è un modo di pensare che tende a ricavare informazioni dalle proprie emozioni. Ed esempio: “Siccome quella cosa mi fa paura, allora deve essere effettivamente pericolosa!”
Ingigantire e minimizzare: si attribuisce un valore eccessivamente alto o eccessivamente alto ad alcuni aspetti di una situazione senza una adeguata analisi di realtà. Ad esempio, quando ci piace qualcuno tendiamo ad attribuire un valore enorme a qualunque particolare (“Ha messo il punto esclamativo alla fine del messaggio!”), sperando di cogliere interesse anche nei nostri confronti, spesso prendendo delle sonore cantonate :).
Personalizzazione: si pensa che tutto quello che gli altri dicono o fanno sia in relazione a noi. Ad esempio: “quella persona non è venuta alla festa di questa sera perché non voleva vedere me!”
Paragoni continui: valutare se stessi in base ai paragoni che si fanno con gli altri. d solito il termine di paragone che si sceglie è l’eccellenza nl suo campo, per cui uscirne vincenti è praticamente impossibile.
Penso che molti di noi si riconoscano in parecchi di queste distorsioni cognitive, chi più chi meno, siamo tutti portati a metterle in pratica, soprattutto quando ci sentiamo ansiosi, inadeguati, tristi, rifiutati. E’ del tutto normale.
Ma allora come uscirne?
Il primissimo passo è diventare consapevoli di quando usiamo queste modalità. Alcune sono di facile individuazione, altre sono molto più subdole. Una volta imparato a riconoscerle sempre più velocemente a capire di quale facciamo maggiormente uso, in quali situazioni , con quali persone e così via, possiamo passare al contrattacco; ovvero ci sforziamo consapevolmente di modificare il nostro modo di pensare in un senso più funzionale. Operiamo sui pensieri automatici disfunzionali e, con un lavoro su noi stessi, facciamo modo di creare nuovi pensieri automatici questa volta molto più funzionali.
In questo è veramente utile farsi aiutare da un terapeuta, perchè non sempre dall’interno è facile avere l’oggettività per rendersi veramente conto dei ragionamenti che mettiamo in atto.
Il lavoro è lungo e complesso, ma se fatto nel modo corretto ha ottime speranze di riuscita e soprattutto , una volta capiti certi meccanismi, ci portiamo questa consapevolezza per il resto della nostra vita. Come dire: “Una volta che hai imparato ad andare in bici, non lo scordi più!”
Bibliografia: Beck, A.T., Rush, J.A., Shaw, B., Emery, G. (1979). Cognitive Therapy of Depression. The Guilford Press, New York.